
Umberto Cortellazzi
25/01/2024 Off Di Eugenio LombardoUna volta sentii dire a qualcuno di Sven Goran Eriksson: è una di quelle persone che quando parlano costringono a riflettere sulle cose che dicono.
Umberto Cortellazzi, che nel calcio ha fatto tutto, è una persona così: da ascoltare, per ore. Parla e ti viene da chiedergli altro: per approfondire, per non lasciare cadere nessun concetto. E per imparare i valori dell’umiltà e della modestia: snocciola i suoi tanti successi con estrema, autentica semplicità, quasi riguardasse la storia di un altro, di un amico conosciuto e voluto bene, non la propria.
Volevo chiederti del tuo passato ma hai un curriculum così ricco che non basterebbe il tempo…
“Limitiamoci, allora, ad accennare alle mie permanenze nel Lodigiano, molto belle: da giocatore sono stato al Fanfulla, ultima gestione dell’era di mister Loris Boni e prima di mister Sandro Mutti, che poi aprì un ciclo. Cittadina a misura d’uomo, in quegli anni molto vivace. E noi eravamo un gruppo valido, retto anche da grandi amicizie tra noi calciatori. Lo stesso dicasi di quando, come allenatore, sono stato al Sant’Angelo”.
C’è un tecnico da cui capivi che stavi imparando il mestiere?
“Direi di noi: io giocavo da mediano, tanta fatica, ma il mio orizzonte era quello. Non pensavo che un giorno avrei allenato. E’ andata poi diversamente. Ho cominciato alla Terza categoria. Ho vinto in tutte le categorie sino ad arrivare ad allenare in serie D. Sono partito da una squadra di Cinisello Balsamo: e abbiamo vinto il campionato. Fu una stagione incredibile.”.
Che ricordi hai?
“Ero giovane: partimmo in agosto con 13 giocatori in rosa ed arrivammo a fine campionato in 24. Avevo realizzato un’empatia e attraverso questa compreso che la panchina poteva essere la mia nuova svolta sportiva”.
Altra esperienza da ricordare?
“A Città di Cormano, Prima categoria: vincemmo il campionato all’ultima giornata. Giocando in trasferta un match difficilissimo, sapendo di avere dietro una rivale da cui ci distanziava un solo punto e che attendeva un nostro scivolone per vincere al fotofinish. Ho un bellissimo ricordo anche del campionato fatto a Saronno, in Eccellenza, dove con una squadra di giovanissimi fummo a lungo la rivelazione di quel torneo”.
Hai vinto un campionato alla guida del Vigevano, mi pare.
“Verissimo, e anche a San’Angelo nella stagione 2011/’12 dove avevo realizzato una sintonia eccezionale con il direttore sportivo dell’epoca, Fabio Belloni: metodo, applicazione, rigore, concetti fondamentali per esprimere calcio”.
Ma non ti sarebbe piaciuto mettere le radici da qualche parte invece di continuare a girare?
“Sì, ma ciò non è stato possibile”.
Perché?
“Frutto di un mix di circostanze, di casualità, di contingenze, e certe volte di errori o sfortune. Ma costruire è sempre stato il mio sogno: e per questo ci vogliono progetti lunghi”.
Adesso fai il direttore sportivo. Da quando hai smesso di allenare, e perché questo distacco dalla panchina?
“Non alleno più dal 2019, ultima panchina con la Rappresentativa della Lombardia. Avrò sicuramente sbagliato delle scelte, ma al fondo avevo perso motivazioni”.
Come mai?
“Guarda, io penso che oggi si avvicina al calcio tanta gente che proprio non ne avrebbe alcun titolo. Nelle categorie dilettanti la differenza, su tutto, la fanno due cose: passione ed attaccamento. Invece, fra i presidenti ed i dirigenti, c’è chi pensa di farsi i soldi”.
Chi è il calciatore che hai allenato che ricordi con maggiore affetto?
“Tanti. Non voglio fare torto a nessuno. Ti posso dire, però, il compagno che ho ammirato maggiormente: Pierpaolo Curti. Per me equivaleva a Bruno Giordano, era così bravo che poteva arrivare ben oltre il percorso che ha fatto”.
Sei stato direttore sportivo a Sant’Angelo; record minimo di permanenza, se non ricordo male.
“Ero convinto di fare un lavoro straordinario. Ancora aspetto di conoscere le motivazioni ufficiali dell’esonero. E’ una piazza, comunque, che ho sempre nel cuore”.
Da marzo del 2023 invece sei alla Milanese, Eccellenza girone A. Come sta andando?
“Siamo partiti malissimo, sette partite perse in 10 gare. Poi abbiamo fatto 9 risultati utili consecutivi di cui sette vittorie: siamo a due punti dalla zona play off. Vediamo. Io ci credo”.
Per svoltare che hai fatto: cambiato l’allenatore?
“Tutt’altro. Gli ho dato fiducia e l’ho incoraggiato. Te l’ho detto: sono per costruire, non per demolire. Meno che meno gli uomini. Un tecnico giovane non puoi massacrarlo, altrimenti lo perdi per sempre, gli bruci il futuro, e non è eticamente giusto”.
Qualcosa mi dici che ti piacerebbe tornare ad allenare. Dove ti vedi nel futuro? Se ti affidassero, a proposito di costruzione, un settore giovanile?
“No, non è quella la mia dimensione. Anche perché vedo ragazzi con buone qualità tecniche ma che hanno poca voglia di soffrire per emergere. E poi ci sono genitori troppo invadenti. Ai miei tempi i papà neppure conoscevano i nomi degli allenatori dei loro figli, oggi stanno lì a tormentarti per mezz’ora in più o in meno dell’utilizzo dei loro figli”.
Quindi, niente panchina in futuro: mi smentisci?
“Ogni tanto, è vero, mi si accende ancora la luce del patentino: ma dovrei ricevere delle proposte stimolanti, che abbiano senso e progettualità. Altrimenti resto dietro la scrivania”.
Cosa vorresti portare in campo?
“Il senso dei valori. Oggi siamo tutti appiattiti, tutti uguali. Non fraintendermi, ma è un ciao continuo: al presidente, ai dirigenti, all’allenatore. Vanno recuperati i ruoli, il loro senso: l’allenatore non può essere solo una casella dell’organigramma da riempire”.
24/01/2024
Eugenio Lombardo