Antonio Andreucci
08/03/2024 Off Di Eugenio LombardoA 266 km.
C’è una squadra, di serie D nel girone C, che sta facendo mirabilie e fra gli addetti ai lavori il suo cammini non è sfuggito. Non è questione di dodici, o ventiquattro o quarantadue domeniche. E’ da tempo che l’Union Clodiense Chioggia sta facendo un percorso sportivo di assoluto livello: tre stagioni fa il campionato fu perso non all’ultima domenica ma all’ultimo minuto di quella giornata, due anni fa è arrivato secondo, dietro un Legnago che si rivelava una corazzata indomabile, e in questa stagione il rullino di marcia è impressionate e l’attuale primo meritatissimo posto, rispetto alla qualità del gioco e dell’identità di squadra, appare un irrilevante dettaglio, davvero.
Ho voluto capire cosa vi sia dietro questi numeri e ho chiesto di parlare con alcuni protagonisti di questa realtà.
Ne sono rimasto molto stupito: duecento chilometri sono niente, una sera vado a mangiare una pizza con il diesse Alberto Cavagnis e con mister Antonio Andreucci. Occorrerà un locale disposto a tenere la serranda aperta sino a notte fonda, perché quando si parla di pallone non c’è orario che limiti tempo e passione.
Intanto, per non avere impreparato all’incontro, ho voluto già scambiare du chiacchiere con mister Antonio Andreucci.
La retorica vorrebbe che io lo ringrazi per la disponibilità. La verità è che è stato di una disponibilità e di una genuinità che i ringraziamenti non basterebbero: che persona straordinaria!
Mister Andreucci, classe ’65, ti faccio una domanda che magari mi metti giù il telefono.
“Sono pronto a tutto!”.
Ma alla nostra età è più facile essere maestri o, viceversa, si cerca ancora di avere dei maestri?
“Credo che siano stimolanti entrambe le cose: avere ancora voglia di imparare, mettendosi in discussione, avvicinando cose nuove, aiuta anche a mantenersi giovani. Ma l’esperienza che abbiamo maturato, il senso di responsabilità nell’avere a che fare con i giovani, cercando di dare qualche buon consiglio, ti obbliga inevitabilmente ad assumere un ruolo e a cercare di proporre un esempio”.
Chi è stato il tuo maestro?
“Un mio compagno di squadra, quando giocavo nel Bassano del Grappa: Ezio Glerean. Ti dirò: eravamo diversi, anche se nel modo di approcciare l’attività, nel modo persino di viverla. Però lui è stato un punto di riferimento. Tra l’altro è stato anche mio allenatore”.
Qual è la cosa che hai imparato e di cui hai fatto sempre tesoro nella tua esperienza sportiva?
“La consapevolezza che veramente ogni cosa va conquistata. Oggi si saltano facilmente tanti passaggi, si può arrivare facilmente ad un traguardo, ma non è utile. Io sono partito dalla II categoria, e ogni passaggio l’ho realizzato vivendo con l’assoluta consapevolezza di una dedizione totale, e con una certa dose di sacrificio”.
Tu non vanti i tuoi successi, eppure ne hai avuti.
“Ho vissuto il mio percorso di allenatore col desiderio di provare a misurarmi con le sfide che vivevo: a Campodarsego, a Como, a Trieste, oggi qui a Chioggia. Vero, ho vinto dei campionati, certe volte sono partito da realtà che ricominciavano dopo un fallimento, che non è mai facile. Ho sempre cercato di proporre la mia mentalità: quella del lavoro attraverso il quale devono giungere i miglioramenti. Solo così arrivano i risultati”.
La tua squadra sta facendo un percorso così intenso, che non corre il rischio di dire a stessa: troppo forte, ora ci sediamo? Insomma, che si rilassi…
“Uno dei compiti dell’allenatore è quello di motivare: creare un gioco piacevole e redditizio, portare nuove idee tattiche, ogni giorno, perché questo dice la realtà del campo di allenamento. Non è solo importante vincere. E altrettanto importate esplorare le zone di se stessi in cui c’è da migliorare. Quindi no, nessun rilassamento”.
In cosa questa tua squadra ti sta maggiormente impressionando? Anche dal punto di vista umano, non solo dei numeri, intendo.
“Nella voglia di dimostrare la propria continuità nelle prestazioni. E questa cosa non smette mai di stupirmi. I miei ragazzi rivelano una grande professionalità, una mentalità veramente da sottolineare. Dal punto di vista umano, resto molto colpito dai più giovani. Hanno valori importanti. Ti faccio l’esempio di uno di loro: Burraci, classe 2004, che sta giocando meno degli altri ragazzi: eppure esprime attenzione, dedizione, sa stare nel gruppo, da capitano silenzioso, e sa essere un esempio anche quando non scende in campo. Sui ragazzi si dicono tante cose errate, invece, nelle pieghe della realtà, loro ci sono, ben presenti. Talvolta mi chiedo: ma io, a posto loro, come mi regolerei? E comprendo quanto possano sorprendere”.
Posso allora chiederti cosa senti di sacrificare dentro questo tuo cammino personale? Ma rispondimi solo se ti va.
“Il nostro è un mestiere bellissimo, che ti fa sentire vivo ogni giorno, perché è una sfida continua con te stesso. Ma dentro tutta questa bellezza io ho la consapevolezza di trascurare alcuni aspetti, ad esempio la famiglia. Perché, anche se pensi di non farlo, di riuscire in tutto, ci sono momenti che, materialmente, non puoi essere lì dove vorresti”.
Maurizio Costanzo ti avrebbe chiesto: mister Andreucci, cosa c’è dietro l’angolo? Posso chiedertelo anch’io? Sali di categoria, o vuoi vincere l’ennesima serie D la prossima stagione con un’altra squadra?
“Con franchezza? Il mio desiderio è fare la categoria di sopra. Però, credimi, conta chi siamo, la consapevolezza di essere, non il livello in cui alleni: le persone sono tutte uguali, anche se cambiano i contesti, la professionalità puoi esprimerla anche in Seconda categoria. Lo spirito è lo stesso, il campo è lo stesso”.
C’è una cosa che ti ha colpito in questo girone C di serie D?
“Ho colto una bella novità: molti colleghi hanno provato a portare qualcosa di nuovo, provando soluzioni di gioco innovative e diverse: questo è molto stimolante. Ti costringe ad essere flessibile, a migliorarti”.
A Chioggia ti faranno un monumento a fine stagione.
“None esageriamo. Sono però contento che il mio lavoro sia apprezzato. TI dirò: noi allenatori diciamo spesso di portare le nostre idee dove andiamo. Vero, ma in parte: perché l’altra parte sono le idee che già si trovano dove si va: voglio dire che calarsi nelle realtà in cui si va a lavorare e a vivere, e sopratutto rispettarla, è fondamentale per fare bene”.
Eugenio Lombardo