gaveni veronica

gaveni veronica

25/02/2020 Off Di Ottavia Rancati

Siamo fedeli alle nostre origini e non rinneghiamole perché è lì che risiedono tutte le nostre infinite possibilità di rinnovamento: i cambiamenti, quelli che ci fanno crescere, sono in nuce nelle nostre radici e solo conoscendole possiamo dare vita a forme differenti di noi stessi. E poi: ingarbugliamoci tra i nostri pensieri, percorriamo i corridoi della mente per sbucare all’esterno sottoforma di un sorriso spontaneo ma denso e soddisfatto del viaggio che ha fatto per essere quello che ora è agli occhi di tutti.

Veronica Gaveni, classe 1997 di Lodi, è lanciatrice della squadra di softball Old Rags Lodi in B.

Veronica è ricci, sorriso e non solo: pensieri ingarbugliati e una passione percettibile a chilometri di distanza. Il softball per lei è passato, presente e futuro; si muove sul binario giallo-verde di Lodi dacché si ricorda e lì ha incontrato individui su individui: alcuni non ci sono più, altri ci sono da sempre; e chissà quanti sono ancora da incontrare.

Iniziamo dal tuo percorso: come sei arrivata agli Old Rags e chi ti ha portato al softball?

Posso dire di essere nata sul campo da softball? I miei genitori si sono conosciuti proprio lì: mia madre (Aurora Bracchi) è stata lanciatrice in una squadra di Spino d’Adda in serie B, quando ancora esistevano serie A, B e C, ora ci sono solo A e B; mio padre (Claudio Gaveni) era giocatore di baseball negli Old Rags al tempo del campo “Le Baste” a Lodi (attualmente è campetto da Basket, ndr). Il softball ce l’ho nel sangue e ha segnato la mia vita sin dall’infanzia: nei miei ricordi, le domeniche le trascorrevo al “campone” a guardare le partite di mia madre; in vacanze con mio padre, sempre in barca in Corsica, in valigia non manca mai spazio per la palla e il guantone. Anche mio cugino, Stefano Grassi, ha giocato a baseball. La mia famiglia è legata quasi naturalmente a questo sport, che per me rappresenta un luogo preciso: la casa degli Old Rags al piazzale dello sport di Lodi. È davvero una seconda dimora, in cui tutti si conoscono da anni: c’è il “Capo”, ovvero il Signor Sordi; c’è “Ciccio”, Francesco Roda, uno storico della società: uno di quelli che nel 1966 ha costruito il primo campo da baseball a Lodi, “Le Baste” , recuperando i materiali dalla strada.

Quando hai iniziato a praticarlo?

Ho iniziato da piccola, rigorosamente negli Old Rags Lodi; mi ricordo in particolare di un aiuto-allenatrice, che era anche giocatrice, Chiara Groppelli: era lanciatrice, come me, e cercava di trasmettermi al meglio la tecnica e la passione per questo ruolo. Quando avevo tredici anni la squadra si è sciolta: il softball è uno sport poco diffuso, molto meno del baseball, e non eravamo abbastanza per continuare. Così, ho provato con la danza ma mi sono resa conto che per me non esiste altro al di fuori del softball, ragione per cui, quando quattro anni fa Marco Maglio mi ha chiesto cosa ne pensassi di riprendere a giocare, ero al settimo cielo.

Raccontaci com’è successo!


Marco aveva in mente un progetto semplice: ricreare da zero una squadra di softball. Lui è giocatore di baseball, per cui ha meno dimestichezza con gli aspetti più tecnici del softball, anche se sono molto simili come sport, ma ha una grande passione ed è stato bravissimo nel creare la squadra. Ha cercato di diffondere questo sport anche andando in giro per le scuole, chiamando le singole ragazze potenzialmente interessate, come ha fatto con me. La squadra c’era: e così abbiamo ripreso. I primi due anni abbiamo perso quasi tutte le partite: nel gruppo, in poche avevamo già esperienza e per la maggior parte era tutto nuovo: regole, tattica, movimenti. Non è stato facile.

Siete riuscite a crescere in questi quattro anni?

Direi di sì: quest’anno l’obiettivo è posizionarsi tra le prime della classifica. Nell’attesa dell’inizio del campionato, cioè di aprile, ci si allena in palestra ma tra un mese, a marzo, si tornerà all’aperto. Dall’anno scorso abbiamo un allenatore nuovo: Giorgio Montanari che dal punto di vista tattico-tecnico è eccellente; alcune ragazze non ci sono più, ad esempio Erika Gullì che è in prestito per un anno al Baseball & Softball Club Rovigo in A2. Ne sono arrivate nuove, giovanissime tra i quindici e i sedici anni, e poi siamo rimaste in quattro del gruppo iniziale: infatti con me vi sono sempre Roberta Curti, Gloria Bertari e Vanessa Durante. Il gruppo funziona nonostante il divario di età, noi storiche abbiamo tra i venti e ventisei anni, per cui facciamo da esempio per le novelle.

Quali sono le tue ambizioni personali? Hai mai pensato di cambiare maglia?

In realtà no: sono troppo affezionata al giallo-verde! Voglio rimanere con loro perché la cosa più bella di questo sport è l’ambiente che si crea: una dimensione quasi famigliare, in cui domenica significa pane con la salamella sugli spalti guardando le partite, dopo aver disputato la propria gara.

Tu sei pitcher, cioè lanciatrice: che tipo di ruolo è?

È un ruolo rifuggito dalla maggioranza, io lo trovo così gratificante! Lanciare la palla il più lontano possibile, effettuando dei movimenti controllati procura una soddisfazione smisurata: è la mia valvola di sfogo e, al tempo stesso, è appagante vedere quanto lontano atterra la palla. Sicuramente richiede molta concentrazione: sembra facile ma non lo è perché si regge su un equilibrio tra forza e precisione. Spesso mi capita di isolarmi dal campo per mantenere l’attenzione sulla palla per riuscire a colpirla al meglio. E che meraviglia quando la mazza colpisce la palla e si sente quel rumore “ovattato” di contatto: è il suono che sancisce l’inizio dell’azione! Un altro rumore magico del softball sono i tacchetti di metallo delle scarpe sul cemento: sono il segnale che la stagione sta iniziando, è l’arrivo della primavera e dei pomeriggi trascorsi al campo con la squadra.

Come sei in partita?

La critica più frequente che mi viene mossa è di apparire poco grintosa, come si mi eclissassi ed estraniassi dal match: in realtà, isolarmi è il mio modo per restare con la testa in campo. Questo mio atteggiamento che viene spesso frainteso, è dovuto al fatto che è importante non perdere la concentrazione perché quando sei lanciatore, tutto si basa su una frazione di secondi: se colpisci male la palla, fallisci.

Qual è la cosa bella del softball?

È uno sport alla portata ti tutti: non c’è un’età limite, non richiede una forma fisica particolare. È un gioco d’intelligenza e dedizione, in cui si deve stare al servizio della squadra.

Hai un ricordo in particolare della tua esperienza che vorresti condividere?

La prima vittoria con la squadra attuale: accadde due anni fa, prima di allora avevamo sempre incassato sconfitte per due anni consecutivi; giocavamo per la Coppa Regione, mancava l’allenatore ed eravamo in nove contate. Non avevamo nulla da perdere per cui il clima era disteso, avevamo voglia di divertirci senza alcun tipo di aspettativa: contro qualsiasi previsione, vincemmo! Fu un momento importante, un barlume di speranza che ci diede lo sprint per rialzare il morale.

Chi è la tua fedele compagna di gioco?

Senza dubbio Vanessa Durante! Vanessa ha giocato anche con mia madre e ricordo che quando ero piccola, ogni tanto, andavo a disturbarle mentre si allenavano. Condividere ora il campo con lei è un vero onore. Ah, non ti ho detto che al mio primo anno di ripresa, ho giocato con mia madre!

Che effetto fa giocare con la propria mamma?

È strano: ha lati positivi e negativi. La cosa più stramba era tifare per la propria mamma, quando in genere avviene il contrario; oppure, ritrovarsela al post-allenamento tra le proprie compagne di squadra.

In cosa ti ha aiutato il softball?

Mi ha aiutato ad aprirmi con gli altri: da piccola ho sempre faticato a stringere amicizia, ero un tipo “associale”, mi chiudevo molto in me stessa; il softball mi ha cambiato nei rapporti con gli altri: in campo sei costretto a interagire, a comunicare e si formano dei legami profondi, si vivono esperienze intense con altre persone. Per questo sono una fan degli sport di squadra: è così bello stare in mezzo agli altri, parlare, confidarsi, ridere.

Che appello vuoi lanciare ai lettori?

Venite a giocare a softball: siate diversi!

Ottavia Rancati

Febbraio 2020