Graziano Gelfi

Graziano Gelfi

12/07/2022 Off Di Eugenio Lombardo

Graziano Gelfi, una lunga storia col pallone (d’amore)

di Eugenio Lombardo

Avendo dal lato materno origini calabresi, mister Graziano Gelfi ama i vini robusti: quelli  che si apprezzano già al primo sorso, ma il secondo è pure meglio.

Sanguigno e al tempo stesso riflessivo, rientra a pieno titolo nella categoria di quelli che amano parlare di calcio perché ne sanno. Ha fatto una lunga trafila nelle categorie giovanili, quando i calciatori venivano formati anche uomini, e la sua carriera ha avuto qualche bivio importante: non ha intrapreso la strada che forse lo avrebbe condotto su ribalte diverse, perché non gli è andato mai di snaturarsi, di essere diverso da quello che è, un uomo vero. Che ama misurare la lunghezza dei propri passi seguendo esclusivamente la propria natura, forse talvolta ingigantendo quelli che potevano apparirgli come dei limiti, mentre sono soltanto circostanze della vita.

Una bella figura questo mister, una persona pulita, che peli sulla lingua non ne ha, ma che le cose le dice senza sbraitarle, eppure con fermezza tagliente.

A 55 anni nel calcio c’è poco spazio per i sogni, eppure lui sul campo sogna, in ogni allenamento, in ogni partita.

Sei stato anche giocatore, giusto?

“Tanto tempo fa, un attaccante non proprio fortissimo, però mi piaceva giocare. Ho sempre indossato una sola maglia, quella della Libertas Casiratese: a quel tempo in paese noi ragazzi avevamo solo il calcio, che coinvolga tutta la comunità, l’oratorio, l’ambente. Giocavi per quella maglia e avevi l’impressione di rappresentare qualcosa, qualcuno, insomma sentivi di avere un’identità. Vincemmo un campionato Allievi ed eravamo noi, proprio noi del paese: fu un’emozione bellissima.”

Quando hai cominciato ad allenare?

“Giocavo ancora, ma in quella doppia veste, sentivo di preferire quella dell’allenatore, così ho fatto la scelta definitiva.  Ho cominciato ad  allenare alla Zanconti, la seconda squadra di Treviglio, con un settore giovanile imponente. Lì ho avuto la fortuna di incontrare anche qualche maestro.”

Ad esempio?

“Ernesto Modanesi, grande uomo e grande tecnico. Aveva una cultura del lavoro senza limiti. Claudio Vertova, giocatore professionista, uno che quando lo stai ad ascoltare, assimili calcio. Infine mister Gianni Pesatori, che conobbi durante le mie stagioni al Sancolombano: davvero uno da cui si poteva solo imparare.”

Quante stagioni hai fatto come tecnico delle giovanili al Sancolombano?

“Undici, seppure non consecutive. Ho allenato tutte le categorie giovanili. Mi è mancata solo la prima squadra.”

Ti è dispiaciuto?

“Si vede che non mi hanno considerato adatto a quel livello. Quello che penso io non ha più rilevanza.”

Cosa non ti piace di questo calcio?

“D’acchito direi la mancala meritocrazia: ci sono tanti dirigenti, ma nessuno di società superiori che venga a vedere una partita delle squadre minori, s’interessi al gioco, approfondisca i metodi di allenamenti. Sarebbe bello, ma non è così. Contano i legami, le conoscenze, non le capacità. Oggi c’è molta confusione anche nei ruoli: comandano tutti, e non comanda nessuno.”

Tu hai avuto opportunità importanti?

“Tanti anni fa mi voleva l’Atalanta. Mi prospettarono di cominciare con gli stage montani per i bambini, e poi di fare il secondo in una squadra delle giovanili. Ero giovane, fui presuntuoso: mi sembrava una proposta inadeguata, non c’era neppure remunerazione. Sbagliai a non accettare. Mi è sempre rimasto il rimpianto di non avere allenato in un settore giovanile di una squadra professionistica.”

Altri errori?

“Finita la scuola, trovai posto in fabbrica, stipendio sicuro, ferie assicurate, il mezzo pensiero di proseguire con l’università lo accantonai subito. Fu un errore anche quello. Avessi preso un diploma all’Isef sono certo che la mia stessa carriera di tecnico avrebbe svoltato: ecco, quei bivi che conducono verso altri orizzonti li avrei sicuramente intrapresi.”

Quanto sono cambiati i ragazzi di oggi rispetto a quando eri tu un giovane della loro età?

“A livello di Prima squadra i ragazzi hanno grande entusiasmo e un eccellente spirito di sacrificio. Ma il calcio, per la mia generazione, costituiva l’unica valvola di sfogo. Per i ragazzi di oggi è una delle tante attività, anche sportive, anche ludiche, che svolgono. Ci mettono passione, ma poi hanno altro. Gli unici che hanno veramente fame, fame di farcela, sono gli extracomunitari.”

Quanto conta per te il risultato?

“Quando alleni una Prima squadra è la cosa più importante, e mi gratifica il sorriso dei ragazzi quando li vedo contenti che ciò che mettiamo in pratica, durante gli allenamenti, porta alla vittoria. Poi io credo che buone prestazioni, anche quando il risultato manchi, siano comunque importanti. Ma non riesco a persuadere il gruppo di questo, così resta un pensiero mio.”

Cosa manca a questo calcio dilettante?

“Raramente vedo un collega che si complimenta con un avversario. Manca la conoscenza. Meglio: il riconoscere i meriti altrui.”

A te è capitato di essere rimasto colpito da un avversario?

“Certo, intanto apprezzo moltissimo Maurizio Tassi. Poi Mirco Toni, allenatore della Juniores dell’Alzano Virescit. Lui ha preferito allenare sempre questa categoria, ma avrebbe potuto fare livelli ben più prestigiosi. E poi mister Devis Barbini, che ha fatto il secondo alla Vis Pesaro, nei professionisti, e poi è tornato alla guida del Robbio, tecnico molto competente. Mi raccontava che nel professionismo si pensa al calcio in modalità H24.”

E tu quanto pensi al calcio?

“Ad essere sincero, H24 anche io; poi dal venerdì al lunedì è come se fosse un giorno unico.”

Chi è il giocatore più forte che hai allenato?

“Alexisis Ferrante, centravanti, la scorsa stagione nel Foggia di Zeman, adesso alla Ternana. Forte ed educato, ha saputo rimanere un ragazzo semplice.”

Come ti stai trovando al Borghetto?

“Resto colpito dalla generosità di tutti i componenti dello staff. Non mi fanno mai sentire solo, ed è un fatto di per sé bellissimo”

11/07/2022