il calcio è passione

il calcio è passione

19/08/2020 Off Di ermanno merlo

“Il calcio è passione” per Eltsine Kalepe, 21 anni originario del Togo.

Così dice lui, dopo aver palleggiato davanti alla grande fontana di Casalpusterlengo, sorridendo e alzando il pollice.

Gesto compiuto per dire sì alla vita, per far capire alla gente che vale sempre la pena credere e condividere.

Dare voce ai movimenti, suono alle parole.

Una storia quella del gioco del pallone radicata in lui sin da quando era bambino e in Togo giocava con i suoi familiari utilizzando i pompelmi che avevano a disposizione.

Uno dopo l’altro, partita dopo partita, per alimentare la loro vita, per trovare una ragione nel crescere e diventare adulti.

Perché la vita si dissipa nel momento in cui svaniscono le speranze e trova fondamenta nella verità, nell’accoglienza, nell’amore, nella dedizione al sapere.

Non tutti i fiori che sbocciano nel grande prato verde sono fioriti, alcuni nascono male, altri perdono i petali nella stagione invernale.

Ognuno è diverso a suo modo.

Ognuno cerca di costruire il proprio sentiero condiviso.

Anche se non siamo tutti uguali, anche se non pensiamo tutti allo stesso modo e non siamo dello stesso colore, si può sempre imparare dagli altri.

Questo insegna Eltisine, capace di dare vita alle emozioni.

Sorridente e tenero, umile guerriero della vita, felice viaggiatore dell’esistenza.

Eltise racconta e ad ogni parola colgo la sua voglia di ricominciare a sognare, i traguardi e le aspettative che riempiono il suo cuore di gioia, e il mio mentre lo ascolto

Eltsine fammi conoscere  il tuo percorso sportivo.

“Sono arrivato in Italia nel 2015, a sedici anni. Mio padre viveva già qui e io l’ho raggiunto con mia mamma. Papà al telefono, quando io ero ancora in Togo, mi parlava di come funzionava il calcio nel lodigiano, perché io avevo intenzione di continuare a coltivare la passione per il gioco del pallone, nata nella mia terra. Quando sono arrivato anche io, ho iniziato subito a documentarmi e a cercare una squadra nella quale poter giocare.

Mi hanno preso al Somaglia.”

In quale ruolo giochi?

“Attaccante esterno, sulla fascia. Comunque, dopo la prima stagione, mi hanno inserito in Prima squadra, anche se poi le partite le giocavo nella Juniores.

La scorsa stagione mi ha chiamato la Polisportiva Livraga e ho iniziato a giocare in Terza categoria. Lì non avevo cominciato benissimo, però poi avevo recuperato; solo che, ad un certo punto, l’epidemia ha rovinato tutto. E ci siamo dovuti fermare.”

Dimmi, lottavi con il Somaglia per andare in Prima categoria e ti sei ritrovato a giocare in Terza: ci sei rimasto male?

“No, assolutamente: anzi l’ho vista come una opportunità per farmi conoscere, per avere più spazio. Ho potuto dimostrare quello che sapevo fare. Penso di non avere sbagliato ad andare a giocare a Livraga.”

Eri già abituato o hai trovato difficoltà con il calcio a 11?

“Veramente in Togo ho sempre giocato a calcio a 5 o a 7. Ma l’unica difficoltà che ho avuto, è stata il fatto che non ero molto abituato a coprire certi ruoli. Il mio mister al Somaglia mi ha aiutato molto.”

Com’è andato invece l’impatto con il gruppo? Hai avuto difficoltà ad integrarti?

“Al contrario, da quando sono arrivato in Italia, ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare persone che hanno saputo aiutarmi.
Riuscivo anche a comunicare abbastanza bene con gli altri utilizzando la mia lingua, il francese e poi anche l’italiano.

Al Somaglia ho legato moltissimo con Honorè, anche se in tutte le squadre in cui sono stato ho sempre incontrato dei gruppi fantastici e giocatori disposti ad aiutarmi.

Alcuni venivano a prendermi a casa per accompagnarmi agli allenamenti e con altri. invece, ci frequentavamo anche al di fuori della situazione sportiva.”

Qual è stata la persona da cui hai imparato di più?

“Sicuramente Mario Gagliardi, che ora è l’allenatore del Turris Piacenza, in cui andrò a giocare. Lui mi ha sempre dato la libertà di gioco e mi ha aiutato molto.”

Cosa intendi quando dici: mi ha aiutato molto?

“E’ molto bello avere in squadra persone che, a volte, alla fine della partita ti prendono in disparte e ti fanno notare cosa hai sbagliato. Questi gesti ti fanno sentire parte di un gruppo.”

Qual è secondo te il giocatore più forte che hai incontrato?

Se devo dire la verità, sono stato impressionato dalle qualità di Domenico Rivello. Ho giocato con lui nel mio ultimo anno al Somaglia. E’ una bellissima persona perché ti trasmette sempre energie positive, anche mentre giochiamo, oltre che nella vita. Ogni volta che tornava dal lavoro veniva a trovarmi, parlavamo ed ero felice di poterlo incontrare.

Il legame che ho creato con lui è molto forte. Mi ha aiutato a crescere dal punto di vista sportivo e umano.

Hai difficoltà ad organizzarti per andare agli allenamenti, qui gli orari sono molto rigidi?

“In Africa facevo molte cose nello stesso tempo, qua ho dovuto imparare ad organizzarmi. Riconosco che in Italia il tempo è visto in maniera differente da come lo vediamo in Africa.

Per gli allenamenti invece, sono sempre stato fortunato perché o mi accompagnavano i miei genitori oppure, come ho detto prima, venivano a prendermi i miei compagni.

Adesso ho preso la patente e quindi sono anche più autonomo.

Quando per esempio dovrò andare a Piacenza per allenarmi con il Turris, un po’ utilizzerò la macchina dei miei genitori, un po’ andrò con un mio amico che è stato chiamato a giocare insieme a me.

Quali sono le tue qualità tecniche?

Credo di essere abbastanza veloce e di avere un gioco esplosivo, molto coinvolgente. Creo spazio agli attaccanti per segnare. A volte segno anche io, ma non sempre. Sono più abituato a fare gli assist.

Che cosa ti piace di più della partita?

“La vittoria. Tra un mio goal ed i tre punti, preferisco questi ultimi.”

Ora che vivi in Italia, ti manca il Togo? 

“Moltissimo. Ancora oggi continuo a sentire i miei amici che sono rimasti lì. Se dovessi fare una votazione da uno a dieci su quanto ho nostalgia del mio paese, direi otto.

Devo ammettere però, nonostante tutto, che sono fortunato perché con me ho i miei genitori, anche se in Togo ho lasciato gli altri miei parenti che vorrei andare a trovare.”

Se volessi venire a fare un viaggio in Togo insieme a te, dove mi porteresti?

“Nella mia città natale: Kpalimé. E’ bellissima, una delle città più turistiche del Togo. Sicuramente ti farei visitare le sue cascate e le sue montagne.”

Hai detto che anche in Togo giocavi a calcio, come vi organizzavate?

“Le partite le organizzavamo noi bambini, ci sfidavamo tra diversi quartieri. Da piccolo abitavo in una casa familiare con cinque famiglie e insieme agli altri ragazzini giocavamo con i pompelmi, li coglievamo da una pianta che avevamo in casa.

Era un po’ uno spreco, però non riuscivamo a non giocare a calcio, la nostra passione.”

E adesso la tua famiglia viene a vedere le tue vere partite di calcio?

“Io sono l’ultimo di cinque fratelli, dietro a me due maschi e due femmine.

A mio papà non piace molto il calcio quindi non viene, mentre mia mamma sì, a volte. Le fa piacere vedermi giocare.”

Che passatempi hai oltre al calcio?

“Ascolto musica e mi piace leggere sulle nuove tecnologie, essendomi  diplomato al Cesaris di Casale in telecomunicazione.”

Come ti immagini il tuo futuro?

“L’Italia è un paese che mi è piaciuto e sono contento di questa opportunità che mi è stata donata. Immagino di vivere qui. Andrò sicuramente avanti a giocare a calcio finché posso. Spero ovviamente che una grande società mi chiami per crescere di livello, sarebbe un obiettivo raggiunto.

Per quale squadra tifi?

“Per la Juventus, e il mio idolo è Cristiano Ronaldo. Spero proprio di assomigliare a lui nel mio modo di giocare. Vorrei aggiungere una cosa…”

Prego. 

“Mi ha fatto proprio piacere essere intervistato da voi. E’ per me la prima volta e quando me lo avete chiesto sono rimasto sorpreso. Di Gazzetta Lodigiana mi piace il fatto che non ho mai visto una piattaforma che mette tutta la sua anima nel lavoro che fa.
Il sito è proprio bello.”

Che cosa sinora hai imparato o ti è rimasto nel cuore nel tuo percorso sportivo?

“Ho imparato che non siamo tutti uguali e che c’è sempre da imparare da ciascuno. Non importa la diversità apparente, ma la cosa bellissima di questa vita è che ognuno di noi è speciale.”

Concludere l’intervista con Eltsine è stato per me difficile. Perché è stato rilassante ed emozionante parlare con lui, che ha espresso la saggezza che viene dal cuore.

Ho respirato l’umiltà e la conoscenza, solcato le vie della pace e attraversato un’anima dolce che con due grandi occhi osserva la vita.

Spiega con le sue parole, Eltsine, che l’indifferenza non porta a niente.

La passione aiuta il gioco.

Perché la vita è un gioco e bisogna giocarlo con eleganza e voglia di fare, trasmettendo agli altri l’insegnamento.

Dopo esserci salutati, lo vedo andare via, adesso cullato dal suono del vento che si mostra irrequieto.

Dentro di me rimane uno strano profumo.

Un’essenza che oggi mi è stata donata, incontrando un giovane uomo che ha saputo accendere il lume della speranza e coltivarlo come un ardente fuoco.

Una dolce fragranza di pace e armonia ritrovata.

Così, prima di allontanarmi, respiro a pieni polmoni per non perdere quel magico profumo.

Ermanno Merlo