Il volley, passione infinita

Il volley, passione infinita

10/07/2022 Off Di eleonora fortini

Sara Cinquanta, “Il volley, passione infinita”. 

di Eleonora Fortini

In un caldo pomeriggio di inizio luglio incontro a Crema coach Sara Cinquanta, cremasca, due lauree, una in Lingue ed una in Scienze Motorie, allenatrice del Settore Giovanile delle ragazze del Volley 2.0, e di cui apprezzo l’immediata e autentica gentilezza.

Sara Cinquanta mi chiarisce che il Volley 2.0 è una realtà consortile nata dall’incontro di tre preesistenti società pallavolistiche di Crema, che pur mantenendo la propria personalità giuridica si sono appunto unite in consorzio per organizzare al meglio l’attività e dividere, aspetto non di poco conto, i costi di gestione.

Sara, nonostante la giovane età – classe 1986 –, può già vantare un curriculum invidiabile: prima di stringere i rapporti con la Volley 2.0, ha ottenuto importanti successi con la Pro Patria, con la Volley Lugano, ove ha vinto due titoli nazionale Under 15 e la medaglia d’oro come selezionatrice del Ticino, nonché con la ChionsFiume Volley, oltre ad aver seguito atlete divenute poi di interesse nazionale.

Sara, come hai iniziato ad approcciarti alla pallavolo ed in modo particolare perché hai deciso di intraprendere il percorso di allenatrice?

Ho iniziato quasi per caso; praticavo la ginnastica artistica a livello agonistico ma un infortunio, all’età di 11 anni, mi ha costretta ad abbandonarla ed ho iniziato a giocare a pallavolo nella squadra del mio paese, a Rivolta D’Adda. Poi, all’età di 16 anni, i responsabili della squadra mi hanno chiesto se volevo dare una mano allenando le ragazzine del mini Volley e vedendo che come giocatrice ero molto scarsa, accettai di intraprendere questa nuova, e per me inaspettata, esperienza.

Come sono stati gli inizi?

Mi sono dovuta mettere completamente in gioco: provenivo da una realtà sportiva, quella della ginnastica artistica, fatta di individualismo, non mi piaceva la condivisione o comunque non ero stata allenata ed abituata ad essa.

Cosa è cambiato? Cosa ti ha fatto capire che invece la strada dell’allenatrice, intrapresa per caso, era la strada che faceva al caso tuo?

E’ stato un lavoro partito sicuramente dal mio interno e che ha avuto un grande supporto anche a livello pratico: sono sempre stata attenta alla cura del dettaglio, ho sempre ricercato le strategie, come un’insegnante a scuola, affinché il fondamentale sia la qualità.

Quale ruolo ha avuto nel tuo cammino la tua famiglia e gli allenatori cui ti sei affiancata?

Essenziale! Sia la mia famiglia che gli allenatori con cui ho lavorato mi hanno sempre appoggiata e supportata, dandomi la possibilità di sbagliare e di fare le prime esperienze.

Al di là dei risultati, cosa ti piace maggiormente del tuo essere allenatrice e che ti rende orgogliosa?

Sicuramente mi piace veder crescere le bambine, formarle, soprattutto dal punto di vista tecnico, insegnare loro come ci si approccia alla pallavolo e poi “consegnarle”, grandi, agli allenatori che ne svilupperanno gli aspetti tattici. Mi piace far spiccare alle mie giovani giocatrici il volo.

Immagino che ogni anno ti vengano affidate molte bimbe, quali qualità cerchi in loro?

Nella scelta mi affido molto al mio istinto; cerco la persona prima della giocatrice, e, soprattutto, in un’ottica futura, voglio una bambina che sia anche una mente pensante, in grado di risolvere la situazione in campo senza necessità di condurla sempre per mano.

Come si traduce tutto questo nella pratica, in sede di allenamento?

Cerco di far respirare alle mie piccole allieve positività, anche allorquando la squadra avversaria della prossima partita sia più forte, sì da pensare che il risultato, se si coltiva lo spirito giusto, è sempre raggiungibile. Io sono una persona molto emotiva ed energica e carico le mie allieve di un atteggiamento positivo, di chi vuole portare a casa il risultato, sempre, tutto l’anno. E se si perde una partita, l’importante è averla affrontata con lo spirito positivo.

Cosa altro trasmetti alle tue allieve?

“Sicuramente il senso del rispetto, in generale. Ad esempio, mi infastidiscono le atlete che rispondono al pubblico. Anzi se una mia allieva tenesse un tale comportamento la metterei subito alla porta. Bisogna essere concentrate sulla partita; si dimostra con il risultato e soprattutto con il bel gioco e proprio il bel gioco, quand’anche non sempre porti alla vittoria, zittisce ogni polemica. Quindi ben venga il palazzetto rumoroso!

E poi?

Cerco di fare in modo che le mie allieve si mettano in gioco, le costringo a mettersi in gioco, ad essere autonome, a crescere, a trovare soluzioni in tempi rapidi, come una fase di gioco spesso richiede. Mi vengono gli occhi a cuore quando vedo una bimba indipendente.

Una buona allenatrice deve “provocare”, non deve essere sempre “morbida”.

Ed il senso del gruppo?

Anche questo è un aspetto fondamentale: insegno alle mie giovani come fare gruppo, per affidarsi ad una compagna, per fidarsi l’una dell’altra.

Cosa ricevi dalle tue giovani allieve?

E’ sicuramente più quello che ricevo da loro che quello che io dono loro. L’intensità delle emozioni che vivo con le giovani giocatrici non l’ho mai vissuta in altri contesti.

E’ un “lavoro” per il quale vedi i risultati settimanalmente, a breve termine. E’ concreto e molto emozionante, ti permette di aggiungere ad ogni settimana un pezzo; ti dà pepe.

Fin qua sembra tutto perfetto, ma ci sarà qualcosa che ti infastidisce. Come sono ad esempio i rapporti con i genitori delle piccole che alleni?

L’Italia è il paese di allenatori, in ogni sport, ed anche il volley non si sottrae a questa regola. Ritengo sia giusto che i genitori dicano quello che pensano, la differenza sta nell’esposizione che deve essere sempre fatta in modo educato. Io, personalmente, non ho mai avuto difficoltà in tal senso.

Tattica e bravura innate o cos’altro?

Io sono una persona schietta, ed imposto sempre il mio lavoro sul rapporto diretto con le mie allieve, anche con le più piccine e sin dall’inizio. Se i problemi nascono li voglio risolvere nello spogliatoio, coinvolgendo chi di esso fa parte.

Tu hai allenato anche all’estero, in Svizzera. Oltre alle differenze di natura prettamente organizzativa e/o di regolamento specifico interno, come è concepito ed incentivato lo sport nella Federazione Elvetica?

In Svizzera lo sport è molto praticato, anche nelle scuole e fin dall’infanzia. C’è molta specializzazione ed aiuti economici pubblici. Quando io allenavo a Lugano, ricordo che c’era un ente di natura pubblica che riconosceva un franco alla società sportiva per ogni ragazzo che si allenava. Questo permette di alzare il livello degli allenamenti e degli allenatori.

La scuola pallavolistica italiana è apprezzata in Svizzera?

Sì, moltissimo. Agli allenatori italiani viene riconosciuta una grande bravura, sono molto stimati.

Quali ambizioni hai per il futuro? Vorresti allenare una prima squadra?

A volte penso che mi piacerebbe provare ad allenare le ragazze più grandi, ma poi resto sempre con le piccole, perché grazie a loro anch’io cresco e mi specializzo.

Me lo spieghi?

Con una piccola riesco ad esprimere il meglio di me stessa, mi piace partire dalla base, trovare ed elaborare nuovi metodi di allenamento affinché una bimba impari un fondamentale.

E quando una tua allieva spicca il volo, andando a giocare in una realtà più importante?

Per me è sicuramente un motivo di vanto e di orgoglio e ne sono fiera; ritengo che sia sbagliato trattenere un’atleta, si deve permettere lei di intraprendere e seguire il suo percorso, non bisogna mai tarpare le ali ad una giocatrice. E’ importante che un’atleta conservi un buon ricordo dell’ambiente in cui si è formata e cresciuta affinché, se l’esperienza nella categoria superiore non dovesse dare gli esiti sperati, possa sentirsi a proprio agio se decidesse di far rientro alla base.

Dopo la pandemia da COVID 19, ci sono stati dei cambiamenti negli atteggiamenti, nel modo di porsi, di approcciarsi al volley?

C’era tantissima voglia di riprendere, o di iniziare, a fare attività sportiva, di gruppo, come la pallavolo, in particolare, sa offrire. E questo è stato sicuramente un buon segnale!

Come si possono ottenere i riflettori accesi sul minivolley?

Con i risultati! Poi, sicuramente gli addetti ai lavori, e noi allenatori in primis, dobbiamo appassionare le bimbe, dobbiamo aiutarle a crescere con una mentalità che le faccia sentire parte di una società, anziché di un gruppo delimitato e circoscritto. Ci deve essere, inoltre, maggiore collaborazione tra le società, per permettere alle atlete di lavorare in contesti molto allenanti.

Cosa potresti ulteriormente consigliare anche a livello istituzionale?

Sarebbero necessari maggiori interventi nelle scuole, istituendo progetti di mini volley affidati a degli esperti. Servono poi più spazi dedicati, per gli allenamenti e le partite e sarebbe opportuno inserire il professionismo anche per gli allenatori del mini volley, per incentivare gli allenatori a spostarsi ad esempio sul territorio.  Ma sono sicura che con le giuste sinergie e la collaborazione a tutti i livelli si raggiungeranno ottimi risultati; purtroppo la pandemia ha bloccato molti progetti che stavano decollando, ma adesso stiamo ripartendo.

10/07/2022