
Intervista al sociologo, dottore Gabriele Scotti
03/05/2020Intervista al sociologo, dottore Gabriele Scotti.
Sociologo, laureato alla Triennale della Bicocca, specializzando in ambito organizzativo e aziendale, calciatore dilettante in forza all’A.S. Lodivecchio, il dottore Gabriele Scotti accetta il nostro invito ad approfondire le conseguenze più immediate ed impattanti in ambito sportivo, provocate dal blocco della pandemia. Una lente d’ingrandimento, quella che ci offre Gabriele Scotti, fondamentale per comprendere quegli aspetti sociali, cui spesso si allude quando si parla di sport, rimanendo però temi generici, quasi mai approfonditi.
Il Coronavirus che ferma lo sport, quale prima immagine fa emergere?
“Per prima cosa, direi il temporaneo stop dei rituali sociali; come è accaduto, in altro ambito, per l’arresto delle messe religiose. L’andare al campo, a vedere la partita, a giocarla, il blocco forzato di tutto quello che ruota attorno al calcio, ad esempio, è la fine, per quanto momentanea, di un significativo rituale cui da sempre si era abituati.”
Cosa significa, però, rituale?
“E’ un insieme di azioni codificate che rinsaldano il legame sociale all’interno di una comunità e all’interno del quale si sviluppano una serie di valori fondamentali, rivolti ad evitare lo scollamento sociale, quello che in temine tecnico si definisce anomia: cioè l’assenza della legge e delle regole. Il rituale, recarsi allo stadio, scendere in campo, sviluppa norme di comportamento, fondamentali per l’espressione della società.”
Lo stadio, a volte, è associato a ribellione, più che a regole…
“Ne aveva trattato ampiamente il sociologo Dal Lago in un suo studio: è proprio la dimensione dello sfogo, piuttosto che della violenza, attraverso il quale si esprime la tensione ingroup-outgroup, che va regolamentata proprio attraverso il rituale della pratica sportiva.”
Per questo parliamo di sport come disciplina aggregativa?
“Indubbiamente. L’atleta, ad esempio, soddisfa il superamento della propria incertezza soggettiva all’interno del suo gruppo, dove troverà regole, norme, il rispetto della leadership altrui. Ma anche il tifoso – cioè l’astante, colui che osserva – farà parte di un rituale di regole.”
Il Coronavirus ha inferto un duro colpo a questa forza aggregativa, quali possono essere le conseguenze?
“Sicuramente un indebolimento dell’identità sociale, la consapevolezza di sentirsi parte di un gruppo, con il rischio di un ripristino dell’individualismo, e conseguentemente la perdita della possibilità di perseguire obiettivi sociali sovra ordinati, cioè non egoistici, e per questo generatori di valori, ma che si possono raggiungere solo in gruppo.”
E’ stato fatto uno studio dove si è ipotizzato che almeno il trenta per cento di società sportive rischiano di scomparire per il crollo delle sponsorizzazione. E’ possibile davvero?
“Ovviamente mi auguro di no. Sino alla Prima categoria, sul territorio, abbiamo società sportive generate da gruppi oratoriani, espressioni di piccole comunità che supportano e si fanno carico della crescita non solo sportiva, ma anche umana, dei ragazzi. Con qualche sacrificio credo che queste realtà potranno proseguire questo percorso, anche dopo il Coronavirus. Semmai..”
Cosa?
“Penso che vi sarà un impatto sotto l’aspetto competitivo per quelle realtà, e sempre limitandoci al nostro territorio, tendenzialmente abituate ad emergere. L’impoverimento individuale, laddove non vi sia il supporto di una comunità di riferimento come nel caso degli oratori e nelle dimensioni famigliari, inevitabilmente inciderà sull’aspetto dell’importanza della competizione. Vi sarà una flessione della competitività, senza per altro che ciò implichi un ridimensionamento dello sport come fenomeno sociale.”
Eugenio Lombardo