Osvaldo Jaconi

Osvaldo Jaconi

23/11/2021 Off Di Giuseppe Livraghi

Jaconi: «Il Castel di Sangro non fu un miracolo, ma il frutto di progettazione, impegno e lavoro. Credo che il termine corretto sia “impresa”»

di Giuseppe Livraghi

Quando si tratta di menzionare una compagine “piccola fattasi grande”, in grado di reggere l’urto con squadroni titolati, non si può dimenticare il Castel di Sangro Calcio, sodalizio espressione di una cittadina abruzzese di soli 5500 abitanti in grado non solo di raggiungere la Serie B, ma addirittura di conquistare la salvezza, riscuotendo interesse e simpatia da ogni parte d’Italia (e non solo). Il periodo della cadetteria risale, ormai, a oltre vent’anni fa (1996-1998), ma il ricordo di quella compagine è ancora vivo nella mente e nel cuore di ogni sportivo. Appunto per ciò, abbiamo intervistato uno degli artefici di quei grandi successi: l’allenatore Osvaldo Jaconi.

Mister, la prima domanda è d’obbligo: quel Castel di Sangro fu un “miracolo”?

«Diciamo subito che chi utilizzò tale termine lo fece in perfetta buona fede. Tuttavia, ridurre le nostre vittorie a un miracolo mi pare inesatto: sia perché chi sta sopra di noi è in altre ben più importanti faccende affaccendato sia perché i miracoli, di solito, capitano raramente. Noi, invece, conquistammo due promozioni consecutive (entrambe ai play-off, dopo un terzo e un secondo posto in campionato) e una storica salvezza in Serie B. I nostri successi furono frutto di impegno, lavoro, programmazione, dedizione e spirito di sacrificio: più che di “miracolo”, si dovrebbe parlare di “impresa”. Il primo anno in Serie B vide anche la morte in un incidente stradale di due nostri giovani giocatori: Filippo Biondi e Danilo Di Vincenzo, ai quali dedicammo la salvezza».

In Serie B vi presentaste da debuttante assoluta, per giunta dopo un solo anno di Serie C-1.

«Verissimo. All’esordio in Serie C-1, conquistammo immediatamente la Serie B, un campionato con compagini titolate ed espressione di città importanti: il Bari, il Palermo, il Genoa e il Torino (solo per citarne alcune)».

Genoa e Torino, che voi batteste. 

«Col Genoa vincemmo sia all’andata in casa sia al ritorno in trasferta. La gara d’andata, originariamente in programma il 1° dicembre 1996, fu sospesa per pioggia, quindi recuperata il 15 gennaio 1997: vincemmo per 1-0 grazie a una rete di Antonello Altamura (un difensore) in rovesciata al 23’. Al ritorno, sotto una pioggia battente, fu 3-1 per noi, con reti di Luca D’Angelo, Claudio Bonomi e Andrea Pistella».

Luca D’Angelo da non confondersi con Maurizio D’Angelo…

«E qui torniamo ai play-off di Serie C-1, per la precisione alla semifinale di ritorno in casa col Gualdo (16 giugno 1996), quando tolsi il nostro fantasista Bonomi per inserire Salvatore D’Angelo: un difensore. E sai cosa accadde?».

Certo: pochi istanti dopo, D’Angelo realizzò la rete della vittoria.

«Già. Evidentemente, la sua presenza tolse riferimenti alla retroguardia ospite. Salvatore D’Angelo: Salvatore di nome e di fatto».

Fu una delle più famose “jaconate”, vale a dire “colpi di genio”.

«Un’altra è relativa alla successiva finale (in gara secca, giocatasi a Foggia il 22 giugno 1996) con l’Ascoli, quando a pochi istanti dai tiri di rigore sostituii il portiere titolare (Roberto De Juliis) con Antonio Spinosa, il quale non aveva mai giocato neppure un minuto in campionato. Ricordo che Antonio quasi non credette stessi facendo sul serio quando lo invitai a scaldarsi per scendere in campo».

Andò bene, ma fu una scelta ragionata, non un azzardo. Giusto?

«Come in qualsiasi evento umano, c’è una parte di rischio: fosse andata male mi avrebbero forse preso per matto. Ma io ero convinto di agire per il meglio, poiché Spinosa mi era sembrato più sereno. I fatti mi diedero ragione».

E, parecchi anni dopo, qualcuno effettuò una scelta identica.

«Louis Van Gaal al Mondiale di Brasile 2014, nella gara dei quarti di finale con la Costa Rica: al 120’ tolse Jasper Cillessen per inserire Tim Krul, il quale parò due rigori, portando l’Olanda in semifinale. Ovviamente, fa piacere pensare che qualcuno possa avervi emulato, ma per sincerità devo ammettere che quando si è in “trance agonistica” non si pensa a fatti passati, bensì al presente, cercando di agire per il meglio».

Una delle vittorie del primo anno del Castel di Sangro in Serie B fu col Torino, in una gara infrasettimanale, giocata al “Teofilo Patini” giovedì 15 maggio 1997.

«Vincemmo 2-1. Ricordo, circa quella gara, un fatto relativo all’impianto di illuminazione. In pratica, stando ai requisiti per la Serie B, il nostro impianto non era adatto, poiché sprovvisto del quantitativo minimo di lux, quindi chiedemmo a chi di dovere la possibilità di giocare di pomeriggio. La risposta, magari glaciale ma comprensibile, fu: “Ma vi siete resi conto di dove siete arrivati?”. Non avevano tutti i torti. Risolvemmo con la posa di fari provvisori, giocando di sera (come da calendario) e conquistando tre punti importantissimi».

Punti che dimostrarono che il calabrone può volare…

«Quella è una massima non mia, che afferma che per pesantezza e ridotta apertura alare, il calabrone non potrebbe volare e che vola poiché non lo sa. In realtà, il calabrone vola poiché batte le ali assai più velocemente di altri insetti. Noi, in quella stagione, facemmo come il calabrone, dando ben più del 100%».

D’altronde, “mai nulla di splendido è stato realizzato se non da chi ha osato credere che dentro di sé ci fosse qualcosa di più grande delle circostanze”…

«Si tratta di una frase motivazionale di Bruce Barton, che presi in prestito per motivare ulteriormente i ragazzi: evidentemente, funzionò».

Dopo Castel di Sangro ha conquistato altre promozioni.

«Già nel 1998-’99 conquistai la Serie B col Savoia di Torre Annunziata, che mancava dalla divisione cadetta dalla stagione 1947-’48. Quindi raggiunsi la Serie B col Livorno, nel 2001-2002: per i labronici fu un ritorno in cadetteria dopo un’attesa che durava dal 1972. A Livorno apprezzarono la mia schiettezza, come io apprezzai la loro. Successivamente, conquistai la Serie C-1 con l’Ivrea nel 2005-2006, quindi la Serie D con la Civitanovese nel 2008-2009 (in quest’occasione mediante ripescaggio) e con il Montegranaro nel 2012-’13».

Il conto delle promozioni ammonta a nove più due, giusto?

«Giustissimo. Nove sul campo e due per ripescaggio. Le nove sul campo sono quelle in Serie B (tre) con Castel di Sangro (1995-’96), Savoia (1998-’99) e Livorno (2001-2002), in Serie C-1 (cinque) con Civitanovese (1982-’83), Fano (1984-’85), Leonzio (1992-’93), Castel di Sangro (1994-’95) e Ivrea (2005-2006), in Serie D (una) col Montegranaro (2012-’13). Alle quali vanno aggiunte le due giunte per ripescaggio: quella in Serie C-2 col Lecco nel 1989-’90 e quella in Serie D con la Civitanovese nel 2008-2009».

Ovunque si è fatto apprezzare per la Sua schiettezza, ma anche per la Sua cortesia e la Sua umanità.

«Ovviamente fa piacere essere ricordati anche a livello umano. Il merito è, però, anche dei miei genitori, che mi hanno insegnato l’educazione, il rispetto e la cortesia. E io le ho insegnate ai miei figli. Credo sia normale».

Ora allena nelle giovanili.

«Collaboro con una società giovanile qui nelle Marche, che sono la mia casa da ormai oltre quarant’anni, vale a dire dalla mia militanza alla Civitanovese (1978-1981), con la cui casacca chiusi la carriera da giocatore per iniziare (nel 1982) quella di allenatore».

Un’ultima domanda: pensa che possa accadere un altro “miracolo” (per usare il termine usato a quei tempi) in stile Castel di Sangro? 

«Il calcio di oggi è assai diverso da quello di allora, ma credo che con sagacia, progettualità e impegno ciò sia fattibile. Anche se, bisogna ammetterlo, è molto difficile che accada. Ma di certo non impossibile».

23/11/2021