
Presagi di futuro
20/04/2022Abdoulaye Dosso, presagi di futuro.
di Ermanno Merlo
Pasqua 2022 è finita.
Il lunedì ha preso il posto della domenica e, abbassati i calici, la vita torna quella di prima.
Si chiudono le parentesi della festa, ogni cosa si fa nuova, sperando di non dimenticare la pace pasquale.
È tempo di primavera e il calcio non si ferma.
La passione per il pallone continua a essere condivisa e negli occhi degli altri si possono trovare racconti importanti, come quelli di Abdoulaye Dosso, 26 anni, ivoriano.
Un ragazzo con la testa sulle spalle che si commuove mentre tira fuori dal bagaglio storie di vita.
È conosciuto nel Lodigiano per le sue esperienze calcistiche, prima nella Laudense Ausiliatrice, e attualmente nel Fissiraga.
Abdoulaye, riassumiamo il tuo percorso sportivo?
“Tutto è iniziato nel 2014 quando sono arrivato qui. Ho cominciato a giocare nella squadra dell’oratorio San Gualtero. Dopo due anni, però, sentivo la necessità di provare livelli più alti. In tutte le società in cui sono andato, ancora prima di vedermi all’opera mi chiedevano: quanti anni hai? Quando comunicavo i 20 anni mi liquidavano in tutta fretta. Ero ormai già troppo anziano per il calcio. Così ho appeso le scarpette al chiodo.
Questa situazione però non è durata tanto, infatti ero ansioso di tornare sui campi e nel 2017 mi hanno preso all’Edelweiss. Lì sono stato una stagione fino al 2018 quando ho indossato la maglia della Laudense Ausiliatrice.
Ora è da ottobre 2021 che milito nel Fissiraga. Mi ricordo ancora l’ingresso nella società. Ero in vacanza in Africa e sono stato contattato dall’allenatore che mi ha chiesto di andare a provare.”
Che rapporto hai con mister Avanzi?
“Il mister per me è molto importante. Insieme a lui sto imparando tanto e sviluppando sempre di più le mie capacità. Non si finisce mai di apprendere e questo è bellissimo. In lui e nei compagni ho notato qualcosa di straordinario fin da subito. Ricordo la prima partita in cui mi hanno convocato. Non ho giocato ma sono stati 90′ minuti preziosissimi, infatti ho potuto studiare profondamente la tecnica e la strategia del mister.”
Hai legato con i compagni?
“Certo; anche se riconosco di essere particolarmente in sintonia con Luca Bruschi, con cui esprimo liberamente i sentimenti e mi confido. Ma anche con il Capitano Axel Settino che è sempre stato gentile e premuroso nei miei confronti: lui è una persona felice, che sa come aiutare nel momento del bisogno.”
Il calcio ha favorito il tuo percorso d’integrazione?
“Moltissimo. È stato tutto merito della squadra attuale. Quando sono arrivato al Fissiraga mi hanno fatto sentire come un fratello. Non mi hanno mai trattato come il “diverso” o come qualcuno da non prendere in considerazione. Il legame con i compagni, quindi, è forte. Quando faccio qualcosa di sbagliato sanno come correggermi e i consigli sono preziosi.”
Ci sono dei giocatori che ammiri per le loro capacità?
Il mio compagno Andrea Garotta L’ammirazione è reciproca. Un giorno ci stavamo allenando insieme, ricordo che mi fece i complimenti per la grinta che avevo durante il gioco. Di lui apprezzo le notevoli capacità tecniche.
Cosa ti piace del calcio?
“Tutto. Per me il calcio vuol dire anche stare in salute, essere liberi e felici. Quando vedo un pallone il mio cuore si riempie di gioia. Spesso, dopo aver finito di lavorare, corro subito ad allenarmi. Alcuni mi dicono: ma non sei stanco? Come faccio a essere stanco? Giocare mi rende felice. Io lavoro in una logistica a San Giuliano 9 ore al giorno, dalle 13 alle 22. Faccio i salti mortali per riuscire ad allenarmi e a essere presente sul campo. Ma questa è la mia vita. Non potrei chiedere di più.”
Hai altre passioni oltre al pallone?
No. Esiste solo questo. Vorrei costruirmi un futuro da allenatore o comunque riuscire a stare nel settore. Ne sarei felice.
Giocavi anche in Costa d’Avorio?
Certo. Da noi il calcio è lo sport più amato. Ricordo che c’erano giorni in cui non facevamo nient’altro. Dalla mattina fino al tramonto del sole stavamo per strada, scalzi, a prendere a calci la palla. Solo i ragazzi più ricchi avevano però la possibilità di comprare il pallone, così bisognava stare attenti a non farli arrabbiare altrimenti se ne andavano con la sfera sotto il braccio e addio partita.
Come mai sei venuto in Italia?
Mi viene da dire: per caso. In realtà avevo lasciato Gagnoa, il mio paese, per coltivare la passione per questo sport ed ero arrivato prima in Marocco, poi in Libia. Ma erano luoghi difficili per sviluppare un sogno. La vita lì è brutta: ci sono l’odio e la morte. Una volta che sei in Libia però non puoi più tornare in dietro, l’unica cosa che sei costretto a fare è proseguire il viaggio. Ed eccomi qui.
Cosa ti piace di più della Costa d’Avorio?
È un paese accogliente. Da qualunque parte del mondo tu venga sei considerato ivoriano. L’integrazione è facile, non come in altri luoghi, in cui è difficile togliersi di dosso il marchio dello “straniero”. In Costa d’Avorio ti fanno sentire subito uno di famiglia.
Se dovessimo fare un viaggio insieme nel tuo paese, cosa mi faresti visitare?
Sicuramente Man, un luogo turistico, abbracciato da montagne spettacolari. Ma anche la capitale Abidjan, lì il divertimento è assicurato. È un posto a misura di tutti.
Sei sposato?
Sì, dal 2021, con una ragazza di Man, che ho conosciuto in Italia. La cerimonia è stata fatta dai nostri parenti in Costa D’avorio. Ad Agosto 2020, dopo i terribili mesi della pandemia, è venuto al mondo mio figlio Abdul Razzak. È stata una delle gioie più grandi che abbia mai provato in tutta la vita (dice, osservando con meraviglia il piccolo Razzak seduto vicino a lui).
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
“Voglio credere ancora di avere successo nel mondo del calcio, di costruirmi una carriera, magari anche all’estero se non in Italia. Per me gli anni sono solo numeri. Quello che conta è che quando gioco non provo fatica, anzi sento il corpo come quello di un 15 enne.”
Abdoulaye si alza dalla panchina e mette un cappellino rosso sulla testa di Razzak, che sorride e saluta divertito. Mentre si prendono per mano e percorrono il viale alberato: circondato dall’abbraccio primaverile, penso a dei versi: Gli occhi del bambino/ come il fiume che scorre/ pieni di speranza/ immaginano terre/ vita nuova.
Spero così che Razzak, un giorno, potrà amare anche lui il calcio, e dire con orgoglio di essere forte, deciso, umile e ambizioso come il suo papà.