vecchie glorie

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22/05/2020 Off Di Eugenio Lombardo

Roberto Atosi, “ho parato il Coronavirus”

Il magone di Roberto Atosi termina lì dove comincia quello del vecchio cronista.

Siamo in due a piangere. Lui a raccontare i giorni del suo ricovero ospedaliero ed io ad ascoltarlo.

Da buon ex portiere di calcio, Roberto ha parato il Coronavirus: non una presa di prima, ma ha deviato, con le punte dei suoi guanti, un pallone insidiosissimo, destinato al goal; dopo la deviazione, la palla è schizzata sul palo, ha continuato a roteare sulla riga di porta, a portiere in terra, e poi lemme lemme si è persa, sporca di fango e lercia, sulla linea di fondo: porta inviolata. E vita salvata.

Anche se Roberto Atosi, purtroppo, ha conosciuto altre morti, che lo hanno profondamente segnato: “Il Coronavirus si è preso mio papà Adriano; anche lui era stato nel calcio: per oltre 20 anni aveva fatto il dirigente all’Edelweiss, poi si era reso disponibile con il Fanfulla facendo il magazziniere.”

Come ti sei ammalato?

“Assistendo lui, che aveva già contratto la polmonite, e malgrado tutte le possibile cautele. Una fatalità e ho preso la febbre. Adesso anche mia madre, nel quadro di una gravissima patologia, è anch’ella ricoverata. Davvero non è stato facile. Io stesso posso dirmi miracolato.”

Com’è stato il tuo decorso?

“All’inizio sembrava che la situazione fosse sotto controllo. La prima volta che l’ambulanza era venuta a prendermi si era deciso di lasciarmi in casa: la febbre era alta ma la saturazione era buona. Poi la situazione è precipitata. Una sera non riuscivo a respirare, e questa volta mi hanno ricoverato.”

Una volta dentro l’ospedale, cosa è accaduto?

“Ho avuto la fortuna di essere visitato dal dottor Paglia. Abbiamo tutti letto sui giornali che è un medico straordinario. Quale altro aggettivo può aggiungersi? Mi ha chiarito la situazione, e mi ha fatto comprendere con grande umanità che non rispondevo alle prime cure e che occorreva intubarmi. L’unica cosa che m’interessa – mi ha detto il dottor Paglia – è salvarle la vita. Poi mi ha suggerito di telefonare a mia moglie per salutarla.”

Immagino l’emozione…

“Salutare con la consapevolezza di un possibile addio aggrappandosi invece alla speranza è qualcosa che inevitabilmente ti cambia dentro.”

Il periodo di intubazione è stato lungo?

“Qualche giorno. So che ero dato più di là che di qua, non c’erano miglioramenti, mia moglie Sonia ed i miei figli ne erano costantemente informati. Credo che peggio sia stato per loro. Poi ho risposto ad una cura ed è successo il miracolo. E sono qui.”

Hai raccontato, sul tuo profilo facebook, di non esserti sentito mai solo.

“Ti faccio un esempio; vivo all’Olmo e la dottoressa Minoia mi diceva: don Guglielmo Cazzulani chiede tue notizie ogni giorno e prega per te. E poi medici ed infermieri sono stati straordinari: incitavano, confortavano, aiutavano, sostenevano, in tantissimi modi, io non so dove abbiano trovato queste risorse interiori di umanità mantenendo una professionalità elevatissima e volgendola ad una sensibilità vicino alla grazia. Ne sono rimasto colpito.”

Sei stato uno sportivo, e dal campo avrai pur tratto un piccolo insegnamento…

“Ho parato il Coronavirus: ho fatto un passo verso quel tiro, ne ho deviato la traiettoria, palla in out. E poi mi venivano in mente, chissà perchè, i primi allenatori che ho avuto da bambino. Pino Soresini, che avevo avuto all’Edelweiss, e che dai Pulcini mi aveva portato agli Esordienti: e prima di ogni partita mi dava un buffetto sulla testa, e quel gesto mi dava tanta forza.”

E poi, chi altri?

“Mister Maurizio Gusmaroli sempre all’Edelweiss: mi diceva sempre che quel numero 1 dietro la maglia era il mio essere numero Uno, mi dava grande sicurezza. E poi mister Diego Ciceri, quando ero al San Bernardo, che mi urlava sempre: Ato fa il pass, fai il passo avanti per agguantare meglio la palla. Qual pass, l’ho fatto; quella parata l’ho riservata al tiro più difficile della vita.”

Che tipo di portiere sei stato? Matto come si diceva una volta, o razionale?

“Italia-Brasile, mondiale dell’82: ti ricordi quel colpo di testa di Socrates che Zoff miracolosamente parò? Ecco, io m’ispiravo a Dino Zoff. Non per niente papà mi regalò i suoi guanti quando cominciai a giocare. Ho sempre cercato di esprimere, tra i pali, il senso della posizione e una discreta freddezza non sempre riuscendovi.”

Il tuo curriculum?

“Ho giocato in tante squadre: Edelweiss, Fanfulla, Lodivecchio, Alpina, La Locomotiva, Superga Watt, San Bernardo Borghetto e San Fereolo.”

Nel Fanfulla hai fatto la Berretti e la Juniores Nazionale.

“Nella prima squadra c’era Claudio Bonomi, che poi arrivò in serie A.”

Hai mai creduto nel grande salto?

“Conoscevo i miei limiti e non è mancato chi me li evidenziava. Ho sempre avuto chiaro che i miei orizzonti dovessero essere diversi.”

Al Sambe hai lasciato un pezzo di cuore, e nei Giovanissimi oggi gioca, guarda caso come portiere, tuo figlio Matteo.

“Ero allenato da mister Ciceri e avevamo una figura bellissima in don Peppino Bertoglio. Lì ho sempre trovato educatori con la E maiuscola. Penso, ad esempio, ad un dirigente come Antonello Izzo.”

Quali compagni avrebbero meritato palcoscenici più importanti?

“Tanti, ma nel calcio ci vuole fortuna, qualche volta occorre qualcosa di inspiegabile per arrivare. Mi ricordo nella Berretti del Fanfulla Giuseppe Roda; oppure Massimiliano Rosi, o Lillo Sesini. Nell’Edelweiss c’era Nino Polizzi, che giocò poi nel Sancolombano. C’era Marco Giulini. E Danilo Rossini de La Locomotiva; Massimiliano Provini del Sambe. E lo stesso Fabio Asti, super giocatore.”

Segui il calcio dilettante di oggi?

“Me ne ero allontanato, adesso vedo le partite di mio figlio. Ma il calcio dei dilettanti offre comunque valori: non solo sportivi ed agonistici, giusto giocare per la vittoria, ma anche umani. La cosa più bella sono i rapporti. Qui, a questi livelli, si possono ancora proporre il rispetto, la lealtà, l’educazione. E’ una base su cui costruire molto e bene.”

Come Roberto Atosi sa, noi di Gazzetta Lodigiana lo corteggiamo da tempo perchè entri nelle nostre fila come commentatore sportivo. Lui accampa la scusa di non volere trascurare la sua Sonia ed i figlioli: ma i ragazzi crescono e la moglie è comprensiva. Abile e arruolato. Nella vita e nello sport.

Eugenio Lombardo