considerazioni di ottobre

considerazioni di ottobre

19/10/2019 Off Di Ottavia Rancati

Tutto quello che ho imparato dalle donne in diciotto interviste sportive

Ad agosto 2018 iniziavo l’avventura di Lodigiano in rosa, una rubrica online all’interno della rivista Gazzetta Lodigiana, nata con lo scopo di raccontare le esperienze di atlete, allenatrici e dirigenti sportive protagoniste a Lodi e nei suoi dintorni. Con l’arrivo di ottobre e della nuova stagione sportiva 2019/2020, mi rendo conto di quante vite, diverse dalla mia, abbia vissuto per poche ore ascoltando le storie di chi nei panni da sportivo si sente al posto giusto:

Lo sport svolge un ruolo sociale fondamentale, in quanto rappresenta uno strumento di educazione e uno straordinario catalizzatore di valori universali positivi. Lo sport è un veicolo di inclusione, partecipazione e aggregazione sociale nonché uno strumento di benessere psico-fisico e di prevenzione.

È questo l’incipit tratto dal documento CONI e il ruolo sociale dello sport, firmato CONI, Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che riassume, in poche righe, il valore sacrale che ha assunto l’attività sportiva nei nostri giorni.

Durante le interviste che ho condotto, mi sono precipitata all’interno delle storie di queste donne, mi sono fatta guidare dai loro sorrisi e dalle loro parole per scoprire persone “catalizzatrici di valori universali positivi”.

Non appena mi ritrovo seduta a un tavolino di fronte a una delle diciotto intervistate, che mi racconta come è nata la sua passione, o che è in silenzio, perché sta cercando con quali aggettivi si descriverebbe, vengo travolta da un’ondata di ammirazione.

Da queste voci educate, a volte irruenti, ma soprattutto voci sagge, apprendo qual è il significato di essere un allenatore: un educatore, un esempio di vita quotidiana per i propri atleti; scopro cosa vuole dire dirigere una società sportiva, con più di duecento associati, e come trovare il modo per dare la possibilità a tutti di trascorrere del tempo in palestra, nei campi di gioco per allenarsi. Quello che più mi incanta è che, nonostante le infinite difficoltà che si presentano ogni giorno, la fatica svanisce con l’arrivo del sorriso del proprio atleta, che riesce a gestire il pallone quando meno se lo aspetta, o da un grazie pronunciato dai genitori, che riconoscono i sacrifici fatti per permettere ai loro figli di godere dell’attività sportiva. È il mettersi a disposizione degli altri in modo disinteressato, perché si crede nello sport come “strumento di educazione”, che riempie di speranza queste comunità.

Dalle voci graffianti, a volte timide, ma soprattutto appassionate, le atlete mi raccontano di come in una manciata di secondi, nella loro disciplina, sono contenute infinite possibilità: nella ginnastica artistica convogliare tecnica e la grazia è questione di istanti, così come in un’azione di pallavolo in cui ad ogni punto si ricomincia tutto da capo. Il valore del tempo nello sport si amplifica e si dilata: in pochi secondi nascono emozioni che occorre saper gestire, anche se si presentano in modo inatteso e spregiudicato. Tutto ciò che conta è dare il massimo in un brevissimo arco di tempo. In meno di un minuto, a volte, si compromettono anni di allenamento, se si atterra scorrettamente dopo un salto per fare canestro e ci si infortuna. E così, si imparano a superare le difficoltà, sia fisiche che psicologiche, per crescere interiormente.

Tuttavia, lo sport esiste soprattutto nella collettività in quanto è “un veicolo di inclusione, partecipazione e aggregazione sociale” dove il singolo individuo conta poco. Lo sport è uno strumento di potere, in cui l’unione fa la forza e le voci raggruppate formano un coro potente che parla al popolo, lo emoziona e lo scuote. Si affrontano le sconfitte e i cambiamenti in gruppo, si festeggia a fine gara urlando di gioia a squarciagola tutti insieme. Ci sono le esperienze in comune alle compagne di squadra, con cui si condividono lacrime di gioia e di dispiacere negli spogliatoi; ci sono i momenti trascorsi con il coach, che sprona a dare il mille per cento e che consola con un semplice sguardo a fine partita; infine, i dirigenti, che dall’alto, si calano nei panni di tutti senza trascurare nessuno alla ricerca della soluzione che accontenti atlete e allenatori. Nascono meravigliose amicizie, che vanno oltre il tempo trascorso insieme e che si portano nel cuore per la vita intera.

Una volta concluso l’incontro nell’altra, mi trovo a rivivere le loro vite attraverso la scrittura. Penso al Manifesto della comunicazione non ostile (1) , dieci principi di stile a cui ispirarsi per ristabilire un contatto diretto, sincero e fondato sui valori nobili dello sport, così da evitare un linguaggio ostile nel tifo e nella comunicazione. Inseguo espressioni che trasmettano ispirazione e responsabilizzazione, parole giuste, forti ed educate. Lo sport genera slancio vitale e nondimeno origina parole violenti, pregiudizi e cattiverie che non meritano di essere prese in considerazione.

il manifesto
Manifesto della comunicazione non ostile

Tutto quello che ho imparato dalle donne è che voglio continuare ad apprendere dalle loro storie; che esse sono in primis delle cittadine motivo di vanto per la nostra città, e poi sportive; e ancora, prima sono persone, che esperiscono emozioni, che ambiscono a progetti e accettano i fallimenti come tutti gli individui umani e solo dopo sono donne.

Simone Weli (2), una saggista e filosofa francese del primo ‘900, scrive in Quaderni del 1942-1943: “Bisogna riconoscersi in dovere verso ciascun individuo, e verso l’essere umano in quanto tale”, la filosofa sollecita alla costruzione di ponti e mediazioni nei popoli e chiede di rispettare i doveri che derivino dai bisogni vitali di ogni singola persona e che siano indipendenti dagli usi e dalle convenzioni. Viviamo, allora, lo sport come un’attività in cui tutti gli individui si riconoscono come esseri umani, che insieme costituiscono una coalizione fondata sul principio di uguaglianza e che divenga un esempio per la comunità.

Concludo con un pensiero che scrive Simone Weli in L’Ombra e la Grazia del 1940-1942 che, a mio parere, descrive l’anima di tutti gli sportivi: “Non si può essere aggraziati se si è troppo pesanti e inerti. E non si può essere aggraziati se si è troppo leggeri e volatili. Per avere la grazia occorre una quantità giusta di pesantezza”.

Buon inizio campionato a tutti!

Venerdì 18 ottobre 2019

Ottavia Rancati

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1) Comunicazione non ostile: A orientare la declinazione del Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport sono stati i contributi di oltre 100 fra atleti, club, squadre, federazioni, aziende, giornalisti e comunicatori legati al mondo dello sport

2) Simone Weli: Nata nel 1909 a Parigi, Francia, e deceduta nel 1943 ad Ashford, Regno Unito, è nota per la vasta produzione saggistico-letteraria e per le drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò in seguito la scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione di operaia, fino all’impegno come attivista partigiana, nonostante i persistenti problemi di salute. Simone Weli è stata apprezzata, tra i tanti, da Natalia Ginzburg, Elsa Morante e Albert Camus.