il fanciullo e la speranza

il fanciullo e la speranza

14/08/2020 Off Di ermanno merlo

“La vita è un fanciullo che gioca: sposta pezzi su una scacchiera” questo direbbe il filosofo Eraclito pensando alla vita, ai canti di eterna gloria nelle atrocità del mondo.

Questo scriverebbe per spiegarci che vale sempre la pena metterci nei panni degli altri, vivere nuove emozioni, giocare a quel gioco che ci è stato donato con tanto amore: la vita.

“Panta rei”, tutto scorre.

Tutto continua a muoversi nell’immensità dei momenti, nelle difficoltà che comporta l’essere carne e parola.

Chi siamo? Qual è l’energia che ci conduce al movimento sulle piccole caselline bianche e nere che compongono la scacchiera?

Diogene, filosofo errante, andava cercando l’uomo per le strade di Atene, con un piccolo lume e un po’ di speranza, ripercorreva il dubbio esistenziale, si faceva promotore della ricerca, per un fine più ampio, per la salvezza.

Socrate potrebbe dire: “Ti estì l’uomo;” cosa è l’uomo?

Questa l’espressione greca che uno dei più grandi filosofi di Atene utilizzava per indurre al dialogo, alla ricerca.

Perché la filosofia è questo.

Un lungo cammino alla ricerca della verità, il ricercare sempre il vero, partendo dal presupposto di non sapere, per poi nuotare nel mare delle domande, dell’essere in ogni momento portatori di verità, che, ricordano i pensatori, va sempre alimentata.

Così come un fiore innaffiato ogni giorno, anche la vita, la salvezza, il vero, vanno innaffiati con cura e coltivati.

Perché nel dubbio si trovano le domande, nell’incertezza i movimenti, nel cammino il profumo della libertà.

Oggi il sole grida il suo calore e l’azzurro si distende per le strade della “piccola” Lodi.

Cammino lentamente per non perdermi.

Conosco la mia città, ma l’orientamento mi è difficile nelle zone che non spesso frequento durante gli impegni di penna.

Così mi guardo intorno cercando la via giusta per arrivare in orario al mio incontro.

Mi sembra mentre muovo i miei passi, di avere già percorso quelle strade, di essermi già imbattuto nelle stesse case, di aver già sentito voci, suoni, profumi.
Una specie di lungo e profondo Déjà vu ancora rimasto irrisolto.

Poi vedo la luce e capisco.

Mi sono ritrovato camminando piano piano, nella stessa via che avevo esplorato qualche settimana fa, alla luce di un tramonto pieno di nuvole grigie.

Ismail era stato il mio primo incontro e lì avevo trovato e scoperto una voce sincera che batte nel cuore di chi ha bisogno.

Oggi però la mia direzione è un’altra.

Svolto in una via e finalmente mi trovo davanti alla casa che stavo cercando.

Il cancello è aperto e allora mi avvicino lentamente alla porta di legno per bussare, quando una voce mi chiede chi sono.

Così mi presento ed entrando in casa vedo e ascolto una nuova storia, la mia penna prende vita e mi ritrovo immerso nel vortice della speranza e delle scelte che a volte si alzano in volo, ma con le ali che ancora non sanno volare.

Nastasi Duc Buoi 22 anni, originario del Vietnam, abile ed esperto giocatore del Lodivecchio.

Sorridente e sincero si racconta maestro di vita e come direbbe il nostro Eraclito: fanciullo che vuole giocare.

Che non si arrende di fronte alle sfide dell’esistenza, ma che con coraggio e impegno ha studiato e ha saputo unire il passato al presente, la vita alla fatica e la passione all’entusiasmo.

Emozionato e spensierato, anima libera in questo mondo triste, spesso vittima dell’odio e dell’indifferenza.

Specchio che riflette tenerezza e voglia di fare, sempre, in ogni caso.

Quando hai cominciato a giocare a calcio?

Avevo otto anni quando dal Vietnam sono arrivato in Italia.

Lì quando ero piccolo non giocavo a calcio, la passione è sbocciata qui, a Lodi.

All’inizio ho giocato al San Fereolo, poi al Pergocrema per tre anni, poi al Pavia, al Cavenago Fanfulla e infine al Lodivecchio.

So che però l’anno scorso eri in prestito alla Nuova Lodi con il mister Ponzellini, che voleva riconfermare anche per quest’anno il tuo prestito, ma il Lodivecchio non ha accettato. Parlami un po’ del tuo mister, cosa apprezzi di lui?

Ponzellini lo ammiro molto.
E’ una persona allegra e simpatica.

Di lui apprezzo anche il fatto che ci sappia molto fare con i giovani, che dia spazio a loro soprattutto, ma dando a tutti i giocatori la possibilità di fare del loro meglio.

Mi spiace molto che il Lodivecchio non abbia voluto riconfermare il mio prestito alla Nuova Lodi, mi piaceva giocare lì, adesso vedremo cosa succederà.

Che cosa non ti è piaciuto quando giocavi nella Nuova Lodi?

Non ho molto apprezzato il fatto che come squadra non avessimo un nostro gioco, continuavamo a cambiare modulo.

Il mister era molto bravo, però questa cosa proprio non mi è piaciuta.

Anche se comunque devo ammettere che non abbiamo avuto molto tempo per mettere in ordine la squadra e organizzarci al meglio.

Che rapporti hai con i giocatori più carismatici e pieni di storia vissuta della Nuova Lodi, come Giorgio Dallagiovanna e Marco Galbiati?

In realtà Giorgio Dallagiovanna adesso non è più della Nuova Lodi, si è ritirato. Sono comunque molto bravi e simpatici. Aiutano la squadra nel momento del bisogno.

Chi è secondo te il giocatore più esperto da cui hai imparato di più?

Non penso di aver imparato molto da un singolo giocatore, ma per lo più dall’intera squadra.

Ho imparato ad avere forza durante il gioco.

Ma non solo, grazie a loro ho capito che non bisogna arrendersi durante le difficoltà, ma bisogna trovare la forza per recuperare, sempre.

Vorresti diventare un professionista del gioco del calcio?

Adesso gioco per divertimento.

Dopo l’infortunio che ho avuto quando giocavo al Pavia, ho cambiato idea.

Prima pensavo di poter diventare un giocatore professionista, ma adesso mi piace giocare così per passione.

Ora sto cercando lavoro, nel mentre gioco a calcio, mi diverto e mi sento libero. Mi fa stare bene.

Tanta gente che mi conosce e anche tanti calciatori molto bravi mi hanno sempre detto che io nel calcio avrei potuto fare grandi cose, ma per adesso è andata così.

Che ricordi hai del Vietnam?

Una delle cose che più mi è rimasta impressa vivendo in Italia, è che in Vietnam i bambini diventano grandi prima, sono più responsabili e devono compiere dei lavori che qui in Italia i bambini non si sognerebbero mai di fare.

Questo mi ha colpito.

Io e i miei fratelli siamo dovuti crescere prima per abituarci alla vita.

E adesso, sei contento?

Sono contento per tutto quello che ho fatto calcisticamente e non.
Ho imparato il rispetto e l’umanità.

Attraverso il calcio ho potuto conoscere tante persone e mi sono affacciato a realtà differenti. Essere umili aiuta a vivere.

Quali sono state le difficoltà maggiori nell’inserimento con gli altri tuoi compagni di squadra?

La difficoltà maggiore è che io rispetto a tutti gli altri sono molto basso e quindi all’inizio non mi sentivo adeguato, ma poi ho capito che la statura non è quello che conta. L’importante è come giochi, come ti relazioni con le altre persone.

Alla fine sono fiero di essere così.

Come ti organizzavi con il calcio quando andavi a scuola, riuscivi ad integrare al meglio le due attività? 

Ho frequentato le scuole superiori all’istituto Bassi.

Purtroppo però non mi sono molto impegnato, perché avevo gli allenamenti di calcio da fare.

Giocavo al Pavia e mi allenavo quattro volte alla settimana, dalle due del pomeriggio fino alle sette di sera, quindi non avevo quasi mai il tempo per studiare.

Ero più concentrato sul calcio che sulla scuola, ma se potessi tornare indietro, avrei fatto entrambe le cose bene.

Infatti, quando ho finito la scuola mi sono accorto, pensandoci, che poi non è tanto difficile studiare, potevo mettere lo stesso impegno che avevo nel calcio, in classe.

Buoi, avresti da lanciare un insegnamento ai nostri lettori, qualcosa che hai imparato e che non dimenticherai mai?

Io ho vissuto sempre in un due famiglie, la mia originaria del Vietnam e poi in questa qua adottiva, ma da tutte e due ho imparato la cosa che per me nella vita è fondamentale, ovvero avere rispetto per gli altri.

Ma anche pensare alle conseguenze delle proprie azioni.

Spesso si agisce senza pensare a quello che ci circonda, ma soprattutto senza rendersi conto delle conseguenze di quello che si sta facendo.

Ecco i miei due insegnamenti.

Ciò che tengo nel cuore.

Cosa ti aspetti per la prossima stagione?

Io ho giocato e incontrato molte squadre e molti calciatori.

Tutto ciò che ho vissuto è stato per me una esperienza formativa.

Al Pavia, per esempio, ho imparato tanto.

Gli allenamenti erano molto più intensi e preparatori rispetto a quelli che faccio adesso.

Facendo fatica si impara molto di più.

Per la prossima stagione vedremo dove giocherò e se giocherò, ancora non so cosa fare.

Poi ci salutiamo e lui prima di dirci arrivederci, mi fa vedere un tatuaggio che ha sul braccio sinistro.

Il numero nove è collegato da una spessa linea nera, con il numero quattro.

“Vedi? – mi dice lui, – il numero nove corrisponde a quello dei miei fratelli, mentre il numero quattro è pari alla somma dei miei genitori.

Quelli adottivi e quelli di origine.

Ora ho la mia vita e sono contento di quello che ho fatto e che ancora dovrò fare.”

Anche a distanza di giorni dal nostro incontro, penso e ripenso alle cose che ho ascoltato.

Sono rimasto stupito dalle parole scambiate, ma soprattutto da un qualcosa che ha lasciato in me un segno profondo.

Una energia rinata, un calore umano che mi è stato donato.

Davvero, mi sono gettato nel vortice delle speranze e in una vita che sogna risvegli.

Ermanno Merlo 11/08/2020