pane e calcio

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23/10/2018 Off Di Gabriele Beccaria

Intervista a Luigi Moro

Di Gabriele Beccaria

Sarebbe difficile parlare, tutt’al più scrivere, dello sport dilettantistico lodigiano senza prima conoscerne le radici, i protagonisti, e quindi la storia: a scorrerne l’indice di queste pagine si troverebbe sicuramente il nome di Luigi Moro, anni 67, vero e proprio veterano del calcio locale, con il Tavazzano nel cuore e il pallone nella testa.

Da Lodi a Piacenza, da Modignano a Coverciano, Luigi Moro rimane un uomo umile, appassionato, soprattutto curioso di questo sport, sempre aggiornato sui cambiamenti e sulle evoluzioni che il gioco comporta. Appena conclusasi la sua quarantaduesima stagione da allenatore – carriera iniziata nel lontano 1978 – e avendo all’attivo quasi 1500 panchine, si appresta ora a rispondere alle nostre domande.

Chi è Lugi Moro, innanzitutto, qualora qualcuno (ma è difficilissimo) non la conoscesse?

“Direi, come prima cosa, di essere un amante, nonché tifoso, di questo bellissimo sport che è il calcio. Mi ritengo fortunato ad esserne così appassionato e così visceralmente incuriosito; lo seguo da sempre, fin da quando, bambino, l’unica cosa che possedevo era, appunto, un pallone.”

Cosa significa per lei il calcio?

“La mia vita; perchè mi ha sempre accompagnato durante tutto il mio percorso professionale e non, qualcosa di molto importante perché può, e deve, insegnare molto più di quello che ci si aspetta.”

Si è trattato solo di una passione od è stato un lavoro?

“Certamente mi sarebbe piaciuto continuare la mia carriera in piazze più “importanti”, ma le priorità della vita cambiano e, purtroppo, alcuni episodi mi hanno impedito di impegnarmi più del dovuto all’interno dello spogliatoio.”

Ha qualche rammarico?

“Direi di no, sono orgoglioso del mio percorso anche se, a posteriori, avrei fatto qualche scelta diversamente. Ma quando c’è la passione, il resto si attenua o sparisce.”

Cosa la motiva ad allenare per così tanto tempo?

“Sicuramente il fatto di stare a contatto con i giovani; essere costantemente a confronto con loro, anche se qualche volta ci si scontra, è per me il bello dell’allenare. La soddisfazione di stare sul campo con i giovani e poter insegnare loro qualcosa è impagabile. Niente ufficio: o il campo o nulla.”

Non ha mai pensato di smettere?

“Ci sono stati momenti difficili come in tutte le cose. Ma anche quando nel 2002, mentre allenavo “Città giardino”, sono stato aggredito a fine partita, il mio primo pensiero è stato tornare immediatamente sul campo per migliorare.”

La più grande soddisfazione?

“Al di là delle coppe conquistate, sono le soddisfazioni fuori dal campo che mi appagano di più: l’avere fatto commuovere dirigenti e calciatori, l’avere aiutato i giocatori a crescere dentro e fuori dal campo sono cose che ti restano dentro, ancora più dei trofei.”

Il Tavazzano occupa un posto fondamentale nella sua vita sportiva!

“Nei primi anni per me c’è stata solo questa squadra; poi, come è giusto che sia, ho voluto cambiare per provare nuove esperienze: sono andato ad allenare a Lodi Vecchio, a Castiglione, a Melegnano, a Vizzolo, a San Marzano e in molte altre realtà, negli ultimi anni a Piacenza. Sono contento di avere girato, così affinando le mie competenze in tutto il Sud Milano.”

Come ha visto evolversi questo sport basandosi sulla sua esperienza?

“Sinceramente, l’ho visto peggiorare: oggigiorno vogliamo essere tutti professori, inculcare una filosofia tattica, ma ai nostri livelli è difficile da spiegare. L’altro problema è l’asfissiante richiesta di soldi, che si pensa possano risolvere tutto laddove, al contrario, è l’umiltà che scarseggia e il coraggio che manca.”

Come ha costruito la sua idea di calcio, quali sono state le influenze?

“Essendo iscritto all’ AIAC, quando mi trovavo a Coverciano, ho avuto l’occasione e il piacere, anche recentemente, di interagire con grandi allenatori sia del passato che odierni; uno su tutti Arrigo Sacchi, con il quale sono riuscito a scambiare più di qualche parola e da cui ho carpito consigli e informazioni. Posso permettermi di dire che, in alcuni periodi della mia carriera, mi sono ispirato a lui e al suo gioco propositivo, tanto da essere considerato un innovatore.”

Come vive il calcio ora?

“Resta la mia passione e, in passato, anche oggetto di studio. Ho letto molti libri di tattica, e mi piace andare a vedere gli allenamenti delle grandi squadre per cercare di tenermi aggiornato e lasciarmi influenzare. In questo periodo sto seguendo molto l’Atalanta e il suo bel gioco che va contro il concetto di grande squadra, che è fin troppo idealizzato.”

Come vede il futuro della Nazionale, anche a seguito degli ultimi avvenimenti?

“Spero sempre che le squadre di alta serie e i grandi club capiscano che è dai giovani che si parte e che senza una base solida, come quella che ad esempio ha ora l’Atalanta, è difficile competere in Europa e nel mondo.”